Prendendo come presupposto (artificiale e artificioso) l’esistenza di una “ regione “ Umbria di 800.mila abitanti, sorprende come l’ attesa per esami prevalentemente radiologici sia divenuta una vera e propria ossessione sia per i pazienti che per gli operatori. Se ne parla da anni, ma nessuno è mai riuscito a interrompere una catena tossica che impedisce la vera e propria gestione degli accertamenti strumentali così come suggerita dalla metodologia clinica e dalla disponibilità di risorse nella nostra regione.
In genere si parte dalla compilazione di un ricettario complicatissimo e ormai gestito tramite computer spesso forniti dalle case farmaceutiche ai medici di medicina generale (MMG).
Per motivi legati ad incertezza diagnostica, a pretese da parte dei pazienti o a ricompilazione di richieste specialistiche (le così dette richieste indotte….sob) o a medicina difensiva, cioè assenza di assunzione di responsabilità, la maggior parte degli esami sono effettuati nella più completa ignoranza da parte del radiologo o comunque dal medico cui è rivolta la richiesta, dei problemi clinici che affliggono il paziente.
Mi capita quasi giornalmente di eseguire esami per punture di insetto, calli, lipomi, banalmente diagnosticabili con le mani.
Ma nella maggior parte dei casi il motivo dell’esame non è noto poiché il richiedente si limita alla dizione “accertamenti”.
In questo scenario, nel quale la dirigenza politica aziendale ben si guarda di intervenire, si muove la nuova regolamentazione delle prenotazioni tramite CUP (centro unico prenotazioni).
L’idea brillante, venuta a qualche politico che non ha mai avuto contatti con i pazienti, consiste nella possibilità di prenotare esami in qualsiasi posto dell’Umbria tramite farmacie o centri CUP per poterli poi eseguire in un qualsiasi centro diagnostico che abbia posti liberi in base alle “agende” ed in base a criteri di priorità che dovrebbero essere contrassegnati dai MMG nel loro ricettario.
Il risultato pratico è che in un centro pervengono pazienti dei quali nulla si conosce, con richieste raffazzonate, con pretese di urgenza e soprattutto dopo che il paziente ha percorso molti chilometri il che crea conflitti con il medico operatore nella ipotesi che l’esame non sia eseguibile o sia improprio per la diagnosi.
Questo tipo di gestione degli esami crea allungamento delle liste (l’opposto del risultato cercato) e dovrebbe essere inserito in un “protocollo” chiamato RAO (alle aziende piacciono molto gli acronimi).
RAO significa raggruppamenti di attesa omogenei (tre giorni, trenta giorni, sessanta giorni, sei mesi)
Purtroppo è molto difficile inserire in uno schema le attese dei pazienti.E ammetto, d’accordo con i medici di MMG, che è ben difficile un inquadramento temporale di un esame.
Molto più semplice sarebbe precisare il motivo dell’esame con contatto diretto con il centro erogatore (o con lettera di accompagnamento, o con email). Invece si realizza tutto il contrario. Importante è fare l’esame.
Il resto per i dirigenti ha ben poca importanza.
La prerogativa di un qualsiasi esame e quindi anche di quelli definiti “per immagine” (anche una visita medica comporta una parte di indagine per immagini) è di avere gli strumenti clinici e anamnestici per poter effettivamente giungere a suggerire una diagnosi, quando possibile, o per poter suggerire eventuali ulteriori esami sulla base del “guadagno diagnostico”che punta alla eliminazione dei procedimenti inutili (costi!) e alla precisazione di una diagnosi radiologica che può essere definitiva o guidare il clinico verso indagini orientate.
Tutto questo è impossibile nell’attuale regime di prenotazione CUP.
E’ inoltre abbastanza evidente che la territorialità definita dalla creazione di due AUSL viene a cadere quando il riferimento per indagini diagnostiche è tutta la regione. Cosa significa dunque AUSL 1 e 2? Il tutto considerando che comunque non è mai stato proibito ai pazienti rivolgersi al centro preferito anche senza questa complicazione assurda, se è vero che l’assistenza sanitaria deve seguire principi di uguaglianza e universalità.
Non è impedito ad alcun cittadino italiano andare per un esame TC in qualsiasi città italiana.
Poi, in base ad un demenziale sistema federalistico, le regioni si scambiano i conti.
Ridicolo.
I fondi sono sempre quelli. Si spende più per la gestione burocratica di questi conteggi (fra uffici, impiegati, dirigenti etc.) che nel lasciare semplicemente libera l’esecuzione di una prestazione dove si vuole, anche se con con ticket.
Molto si potrebbe dire. Ma dopo oltre 30 anni di professione debbo amaramente considerare che l’organizzazione globale della struttura non risponde ad alcun principio logico.
Vorrei fare, per concludere, un esempio forse di poca importanza ma molto significativo e soprattutto verificabile da chiunque.
Alla richiesta del MMG sul ricettario “rosso” dopo passaggio CUP sono aggiunti tre o quattro fogli in formato A4. Nessuna “casella” è compilata correttamente.
In pratica vi sono indirizzi sbagliati, numeri di telefono inesistenti, medici richiedenti anonimi, quesiti diagnostici rigorosamente non compilati. Tutto questo materiale cartaceo, che potrebbe essere tranquillamente sostituito da un timbro, viene archiviato non so dove, e spero che venga riciclato prima di diventare ambita preda dei sorci.
Questa è l’informatizzazione CUP (“in rete…..quando funziona!!!). Se i dati vengono informatizzati, perché stampare quattro fogli privi di dati , che comunque potrebbero occupare un foglietto di carta di 10×10 cm?
Ma giunto ormai in tarda età, non posso che augurarmi di veder risolti questi problemi banali prima di arrivare a vedere la terra dalla parte delle radici.
Cordialmente 10 maggio 2013 Dr Antonio Bellezza (Norcia)
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